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Oman



La pace di Bat ed Al-Ayn e la sensazione di sentirsi l'unico essere umano nel raggio di chilometri, la bellezza ammaliante di Al Hamra all'alba dove tra centinaia di abitazioni ormai in disuso si ode, lontano, il richiamo del muezzin capace di trasportare come per magia il tempo indietro di 400 anni quando era ancora un fiorente villaggio alle pendici dei monti Hajar. La salita infinita per raggiungere la sommità di Jabel Shams, la montagna del sole, la più elevata di tutto il paese per sedersi su di un masso a strapiombo nel canyon ed ammirare la forza di una natura che lascia senza fiato. Arrivare a Nizwa al calar del sole, perdersi nel suo souq e ritrovarsi al mattino seguente a capire se lasci più emozioni il suo forte o quello di Bahla con la sua semplicissima nudità. Passare per Ibra ed il suo mercato per sole donne prima di immergersi nella sabbia del deserto, camminare di notte tra le dune con la sola luce della luna ad indicare una possibile direzione, capire il vero senso del silenzio e lasciare che lo sguardo si perda all'infinito direzionato da un vento che cancella impronte e genera nuove forme tra le dune di Sharqiya. Innamorarsi del gioco di luci del faro che illumina Sur e Al Ayjah cercando all'orizzonte sagome di dhow ed immaginarsi rotte commerciali nel VI secolo tra Golfo Persico ed Africa Orientale. Seguire la costa fino ad Al Hadd per andare di notte nella baia di Ras Al Jinz ed ammirare immense tartarughe verdi deporre uova e nasconderle dagli innumerevoli predatori ma emozionarsi nel vedere minuscole testuggini appena nate gettarsi in mare per iniziare una nuova, lunghissima vita. Percorrere il letto di uno degli innumerevoli wadi per raggiungere la sonnolenta Qalhat ed il suo Mausoleo Bibi Maryam ripercorrendo i passi di Marco Polo che la descrisse come grande e nobile e constatare che poco o nulla rimane del suo antico splendore. Riuscire ad entrare nella magnifica Sultan Qaboos Grand Mosque nel giorno più triste di tutto l'Oman dopo aver assistito alla silente attesa di migliaia di persone in dishdasha della processione della salma del defunto ed amatissimo sultano che ha donato al paese una vita nuova durante cinquanta anni di regno. Dei 2000km percorsi tra sabbia, polvere, rocce fiumi ed asfalto rimangono i wadi e l'attraversarli prima e dopo essersi immerse nelle loro calde acque, rimangono le strade sterrate e le piste meno battute, rimangono i sorrisi di un popolo dolce e cordiale, rimangono le distese di terra, i chilometri di nulla, i dossi improvvisi e continui, le capre che attraversano l'autostrada, i dromedari nelle terre deserte, gli spiedini di calamaro lungo la Barbeque Road e i clacson suonati per ordinare del cibo o semplicemente un caffè, rimangono gli autostoppisti non raccolti e il ragazzo del Bangladesh che abbiamo accompagnato per un tratto di strada, rimangono i villaggi di pescatori e le corse in macchina sulla sabbia in riva al mare, rimane la bellezza di vesti bianche e vesti nere che camminano a debita distanza, rimangono i silenzi e il richiamo alla preghiera, rimane lo sfarzo di Al Mouj e la preziosa compostezza dei piccoli villaggi che vivono ancorati alle sponde di fiumi in secca che alla prima pioggia diventano preziose e fertili riserve di acqua, rimangono i datteri riscoperti ed amati e il sapore di cardamomo degli innumerevoli tè e caffè bevuti lungo il percorso. Rimane una parola, ruvida e dolce al contempo: شكرا. Grazie, Oman.

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