Giorni intensi, quelli in Myanmar. Correre di notte a piedi nudi per le strade di Yangon perché i monsoni non si fanno aspettare. Strade che scorrono veloci dai finestrini di bus a volte improvvisati in cui vieni svegliato in piena notte perché qualcuno, per strada, ha bisogno di un passaggio. 5 ore di treno per percorrere 150km in cui ad ogni fermata, reale o presunta, birmani salgono sul treno in corsa che non si ferma ma solo rallenta per vendere bevande o cibi cucinati poco prima, magari su delle braci dietro la stazione. Aeroporti in cui basta arrivare 10 minuti prima del volo (rigorosamente su aeromobili ad elica) perché il tuo sarà il secondo ed ultimo volo a partire per tutta la giornata. Lo sguardo che si perde nell'infinito tra pagode e stupa mentre il cielo cambia d'abito ad ogni battito di ciglia. 1792 gradini per raggiungere Mandalay Hill ma tutto sembra così bello e vicino se al tuo fianco c'è un monaco che vuole parlarti della sua vita e percorrere insieme la strada verso la vetta. Il silenzio di Inle e la pace che si respira tra orti galleggianti e mercati in movimento mentre i pescatori danzano in equilibrio. Finire in un villaggio ed osservare tutte le fasi di produzione del tofu in una catena di montaggio che coinvolge tutta la popolazione; camminare sotto il sole su strade sterrate per raggiungere in poco meno di un'ora una pozza d'acqua e tuffarsi nella sorgente insieme ad un gruppo di giovani monaci che si divertivano come matti. Piedi nudi e terra e pietra e sassi e polvere addosso, suole di scarpe mai consumate, sentire ogni passo, assaporare ogni cibo, trovare gesti comuni e parole di base per avvicinarsi un po' di più ed essere parte della stessa esperienza. Infinite sono le sensazioni che mi porto addosso ma quel che non riuscirò più a dimenticare sono quei sorrisi veri e puri e la gentilezza di un popolo senza eguali.
Mingalabar, Myanmar.